mercoledì 5 settembre 2012

Magnetofono istruito/25

Quite ready to go


Sassari, Facoltà di Scienze (via Vienna)
04 settembre 2012, h. 9.30


Buongiorno (?) dal balcone
Dopo una notte passata ad aspettare mamme col biberon in mano e quattro ragazzi con la chitarra e un pianoforte sulla spalla (ma che tranquillante aveva usato Venditti?), tocca prepararsi, anche se la mattinata sassarese si annuncia lievemente velata di nubi. L'obiettivo strategico è chiaro: trucco e parrucco rapido, macchina e raggiungere il check point della Facoltà di Scienze, controllare che abbiano registrato il mio nome come Gloria (meditare un picchettaggio furioso se Giorgia o Ghigni, bomba subito se entrambi gli errori in una volta), e finalmente fare questo test di piazzamento d'inglese, per decidere se seguirò un corso di perfezionamento e un corso con capre a seguito, o nessuno dei due perché dopo l'idoneità ci sarà una poderosa corsa agli armam... No, all'iscrizione a numero chiuso...

Non sembrerebbe difficile, no? Eppure:
- ricordo di non avere ancora lavato i denti e con un unico colpo da maestra (sic!) sporco di dentifricio camicia e pantaloni; 
- decido per un look perditempo più complesso da preparare, un misto di maestrina dalla penna rossa, Sex&TheCity e Milano in trasferta;
- scopro che la siccità ha non solo seccato le spugnette dei tergi (utilissimi con la pioggia a caduta rapida e ripida sul parabrezza), ma le ha addirittura tagliuzzate alla julienne (che poi, ditemi un po', ma chi cavolo è 'sta Julienne?); dunque freno, accosto, tiro fuori dal portabagagli Glassex e Asciugatutto e inizio a pulire il parabrezza abbandonato per un mese quasi sotto un albero cinque stelle lusso, a guardare la grossa utenza ingorda che ha lerciato tutto;
- arranco con la testa fuori dal finestrino fino a via Vienna, ricordandomi solo dopo di non aver segnato il numero civico della facoltà, poi penso "Una sede come scienze si vedrà, no?";
- lascio la macchina dal meccanico per cambiare le spugnette e due lampadine che, chissà come mai, hanno smesso di strizzarmi l'occhio e inizio a girovagare;
- giro con sguardo di amara sorpresa attorno a un quartiere gigantesco di grandi strutture, decido di fermarmi e scopro che in poche centinaia di metri ci sono: Veterinaria, Chimica, Fisica, Veterinaria sperimentale (così mi dice uno specializzando con un pastore tedesco al guinzaglio più grosso di me, cui dice: "No, stai tranquillo, è solo una che si è persa", e spero non sia un cane da riporto...); 
- finalmente arranco sotto la pioggia nel cortile di Scienze, mi registro soddisfatta (il nome era giusto!) e inizio ad accusare con un po' di piacere masochistico la tachicardia da esame, che comporta i seguenti passi falsi:
  • controllo isterico dell'ora, da sincronizzarsi tra orologio, cellulare e iPhone (dimenticando che non dovrei sincronizzarli con loro, ma con gli orologi dei docenti che, chissà come mai, seguono sempre un fusorario speciale);
  • chiamata rapida alla mia famiglia (per assicurarmi che mi vorranno bene comunque o per sincerarmi di essere ancora in un mondo reale quando si parla di nonne rampanti, problemi di geometria o del rincaro della benzina...);
  • controllo a tutto il look con successivo ripensamento, pentimento e successivo "ma 'fanculo, va'";
  • foto per il Magnetofono (una cosa buona almeno!);
  • controllo dei miei futuri compagni d'esame... 
E qui viene il bello... Prendo posto un po' indietro, ma non per voler copiare (che senso avrebbe?, mi ripeto), ma solo per la famigerata ansia da prima fila. Intanto, continuo la lettura di una bozza di libro in inglese, per restare in tema, e mi lascio tanto avvincere da tornare alla Seconda Guerra Mondiale, ai servizi segreti e a una sospirata uccisione dello stronzo di turno che mi fa quasi saltellare sul sedile dalla felicità.

Poi arriva lei, a sedersi affianco a me. Capelli perfettamente curly, freschi di parrucchiera stantia, un set di penne da fare invidia a tutta la Bic insieme, matita con temperamatita a forma di coccinella (cancelleria superstiziosa, si può fare agli esami), due paia d'occhiali e tre antistress. Insomma, questa donna è come un aereo: ha tutto ridondante. Per la familiarità al Ryanair, mi tranquillizzo. Almeno finché non inizia a chiedermi:
  • se sono brava, perché certo, una che ha la borsa di Harrods non vuol dire che è stata in UK ed è stata presa da un attacco di conformismo globalizzato, ma sicuramente che è quasi madrelingua (?!);
  • insiste su cosa ho studiato, cosa faccio adesso e come mai proprio questo esame;
  • si offende un po' per le mie risposte evasive, ma fingo di non prestare attenzione a quanto stringe spudoratamente gli antistress (uno per mano e il terzo è sparito... Non voglio sapere in quale luogo inquietante);
  • mi racconta tutto il suo iter scolastico e l'avventura grama che l'ha portata lo scorso anno ad essere selezionata ma a non essersi iscritta in tempo. "Adesso", commenta soffrendo, "va a finire che non so più niente e non mi prendono neanche... E dire che avevo passato l'A2!". Penso a un'autostrada italiana, poi ricordo l'assurda nomenclatura dei livelli di inglese e mi rassereno: non ha ancora pensato a una forma originale di suicidio.
Intanto, la docente spiega come avviene l'esame, le 55 domande tra multiple choice e il completamento finale, tutte in ordine di complessità, fino all'eccellenza, e rimarca che "non serve a niente copiare, danneggereste voi stessi. A noi serve sapere non tanto quello che sapete ma quello che NON sapete". Mi lascio sfuggire un: "Esatto, chi copierebbe poi? Siamo tutti adulti", ma la mia vicina non sembra pensarla come me: "Copiare magari no, ma un confronto delle risposte... o qualche consiglio...". Capisco di avere vicino una ex-A2 decisa a marciare verso il podio (o almeno è lì che mi pensa, w Harrods, che dà competenze linguistiche babeliche) con il vecchio trucco del "guarda là cosa c'è" seguito da copiatura spasmodica di tutto l'answer sheet. Ed è lì che mi impunto e decido che difenderò l'intimità del mio answer sheet con tutta me stessa, a costo di macchiare di inchiostro la camicia rosina (seconda camicia cambiata in una mattina!).

45 minuti. Al 30esimo consegno, sconvolta dai tentativi biechi di copiatura a cui ho assistito (tre anni in 200):
Si occhieggia sui fogli del compagno con queste strategie:
- "Scusa, avresti un fazzoletto?"
- "Oh... Oh... Eh?" sguardo ammiccante dopo ripasso vocalico da un foglio all'altro, come a proporre un gemellaggio;
- "Se mi dai il foglio, dopo ti porto dove vuoi" (un po' equivoca e quasi da stalker);
- sguardo di panico dall'altra parte della stanza, sperando che il vicino faccia altrettanto e si distragga dal collo-giraffesco proiettato sul foglio;
- "Sai che in America hanno provato che i compiti fatti in equipe vengono meglio?" (un genio!);
- "Hai l'aria intelligente. Io non troppo. Controlliamo?". 

Fuggo disperata all'aria aperta, sollevata dalla fine dell'esame e con un "Va', è uscito anche il sole" in tasca. Mi sento più leggera, fumo una sigaretta immaginaria di felicità mentre chiamo un attimo a casa e invece scopro che:
  • mi hanno chiamato 2 volte dall'università (anche se sapevano che sarei stata fuori)
  • la macchina non era ancora pronta, ma l'ultima telefonata mi invitava (con tono convincente) a correre lì appena possibile
  • mi tocca iniziare a percorrere i 4,5 km che mi separano dall'ateneo con passi lunghi e ben distesi, soffrendo per la camicina rosa che rischia di tramutarsi in un porpora poco signorile a furia di corricchiare, alla bella giornata che mi aspetta (con rientro dopo le 20) e a quella cavolo di parola che ho inserito poco furbamente e che mi trivella la testa... 
La camicia rosina, vittima della situazione.
Io speriamo che me la cavo. 



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